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Piviale (confezione costituita da due diversi tessuti),
cm. 139x296
 
Italia Prima metà del sec. XV/fine del sec. XVI
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STATO DI CONSERVAZIONE: Discreto; locali lacerazioni del tessuto di fondo, cadute dell'ordito di pelo.

TESSUTO 1.
LETTURA TECNICA: velluto tagliato operato a un corpo.
 
ALTEZZA DEL TESSUTO: cm. 54, senza cimose; rapporto di disegno: cm. 83X27; numero dei campi: 2; tipo di campo: a ritorno.
 
ORDITO: 2 orditi; I di fondo, organzino di seta, x capi, S, colore cremisi; II di pelo, organzino di seta, x capi, STA, colore cremisi;

SCALINATURA: 1 filo di pelo;

RIDUZIONE: 96 fili/cm. di fondo; 16 fili/cm. di pelo

PROPORZIONE: 6 di fondo/1 di pelo

TRAMA: 1 trama, di fondo, seta, x capi, STA, colore ocra

SCALINATURA: 1 ferro

RIDUZIONE: 16 ferri/cm.

PROPORZIONE: 3 colpi 1 ferro

COSTRUZIONE: fondo in raso da 5 doublé diffalcamento 2, faccia ordito, prodotto da tutti i fili e da tutte le trame di fondo. Opera creata dalla catena di pelo tagliata. Velluto di 3 colpi il ferro.

TESSUTO 2

LETTURA TECNICA: raso ricamato

ALTEZZA DEL TESSUTO: non rilevabile; rapporto di disegno: unico;

ORDITO: 1 ordito, di fondo, organzino di seta, x capi, S, colore celeste

RIDUZIONE: 108 fili/cm.

TRAMA: 1 trama, di fondo, seta, x capi, STA, colore celeste

RIDUZIONE: 30 trame/cm.

COSTRUZIONE: fondo in raso da 8 diffalcamento 3, faccia ordito, prodotto da tutti i fili e da tutte le trame di fondo.

RICAMO: in oro filato riant avvolto su anima in seta nei colori: giallo, verde e rosaceo lavorato a punto pieno (imbottitura in fili di canapa e cotone); filo di seta nei colori: rosso, verde, rosaceo, arancione, lavorato a punto raso e a punto erba.

DESCRIZIONE DEL DISEGNO: corpo: modulo a «rete» con andamento verticale composto da una serie di grandi maglie ovali a doppia punta e cuoriformi, create dall’intreccio di rami a cui si avvolgono foglie dentellate, bocci e melagrani. Il primo ordine di maglie incornicia alternativamente anfore con campiture a scaglie e composizioni di foglie stili zzate. L’altra serie racchiude, alternativamente, infiorescenza di cardo e motivo a palmetta tra elementi di fantasia. Stolone: motivo ad impostazione speculare con andamento sinusoidale. Da un vaso baccellato si svolge una successione di tralci fogliati e fioriti che si intrecciano specularmente. Interrompe il motivo, al centro, un vaso ansato da cui fuoriesce un mazzo di garofani. Cappuccio: motivo ad impostazione assiale; da un vaso baccellato si dipartono tralci sinuosi con foglie e pigne che, disposti specularmente, incorniciano 1’immagine del pellicano mentre si lacera il petto con il becco per nutrire col proprio sangue i suoi piccoli. Delimita il perimetro del cappuccio un motivo a girali con gigli.

Roberta Civiletto

NOTE: La seconda datazione è relativa allo stolone e allo scudo.

NOTIZIE STORICO-CRITICHE

I due piviali qui esaminati sono tra le opere d’arte decorativa dell’Abbazia di San Martino delle Scale che, nei secoli, hanno destato la curiosità e 1’ammirazione dei tanti cronisti che hanno tramandato interessanti ragguagli storici sul monastero. E ciò perché le due preziose sacre vesti confezionate con un velluto donato dal Bay di Tunisi Abu ’Omar Othman a fra Giuliano Majali. Quest’ultimo, costituito ambasciatore da Alfonso il Magnanimo il primo dicembre del 1438 (cfr. Archivio di Stato di Palermo, Pergamena S. Martino n. 793 edita in S.M. Di Blasi, Memorie del Beato Giuliano.", in «Nuova raccolta di opuscoli siciliani», IV, 1791, pp. 42-46) fu inviato nello stato nord-africano dallo stesso sovrano ben tre volte, nel 1438, nel 1443 e nel 1450, con ampia facoltà di negoziare pace o tregua, svolgendo un’intelligente politica di equilibrio che «seppe condurre su un piano di cordialità tra i1 paese da lui rappresentato e il regno di Tunisi ... sfruttando a favore del suo paese 1’amicizia personale che lo legava ad Othaman" (F. Giunta, Fra Giuliano Majali"., in A.S.S., serie III, vol. II, 1947, p. 177). Inoltre si adoperò instancabilmente «ad alleviare le pene dei fedeli fatti schiavi dai Mori e a riscattarne quanti più potesse» (cfr. A. Lentini, ad vocem, in Bibliotheca..., vol. IX, 1967, col. 243). Al Majali, personaggio di spicco della Palermo pre-rinascimentale, si deve 1’apertura del1’Ospedale Grande insediato presso Palazzo Sclafani, struttura socio-sanitaria fondamentale e necessaria per il capoluogo isolano dove dilagava ampiamente la piaga dell’emarginazione sociale (cfr. A. Mazze, L’edilizia sanitaria..., 1992, pp. 65-67). Gia nel 1733 Rocco Pirro, nel tracciare un profilo del Beato Giuliano ed attingendo alle lettere autografe dello stesso, riferisce che tra i numerosi doni portati da Tunisi a S. Martino dal Monaco erano « alquanti preziosi tessuti serici con i quali sono state realizzate sacre vesti per il monastero» (cfr. Sicilia Sacra, 1733, p. 1094) che esistevano al tempo dello studioso.

Anche il canonico Antonino Mongitore nel suo manoscritto sulle Chiese e Case dei Regolari (ms. del XVIII sec., B.C.P. ai segni Qq E 5, c. 48) nel descrivere la sacrestia della chiesa del1’Abbazia riferisce che oltre a ricche suppellettili sacre ci sono «alcune vesti di drappo di eccellente lavoro avuti in dono dal Re di Tunisi al P. d. Giuliano Majali, quando andò Ambasciadore a quel Re, a nome del Re Alfonso ». E ancora dalla Cronaca manoscritta del Di Blasi si apprende che «le accoglienze colà avute da Fra Giuliano ben possono congetturarsi da’ regali ivi avuti, fra quali si conservano sino al di d’oggi (1776) nella nostra Sacristia due famosi Piviali di velluto cremisi riscagnati, che dopo tre secoli e mezzo conservano ancora un lustro che ammirasi da tutti i Forastieri, cotanto vivo che sembra un opera, ed un lavoro fatto a’ nostri giorni. Sono essi fatti da un real manto del Re medesimo di Tunisi, come per costante tradizione assicurati ne siamo» (cfr. Di Blasi, Cronaca..., Ms. del XVIII secolo, ASSM ai segni VII B 17, c. 228v). E sempre lo stesso cronista riferisce che il Majali prima di rientrare in Sicilia a conclusione della sua missione a Tunisi ricevette la «Fergia, o Giubba, che dal Gran Turco aveva ricevuto in dono colla quale aveva pigliato il possesso di quel Reame, tutta fregiata d’oro, ed altri drappi di velluto a fondo raso di seta cremisina, quali poscia convertì in veste, e piviali, sacre, che oggi si conservano nel sacrario, e la Giubba si usa nelle Feste solenni e si chiama la Cappa del Turco» (idem, c. 232r). Purtroppo tra il patrimonio tessile dell’Abbazia benedettina non e stato rinvenuto tale indumento, ma si ritiene che il Di Blasi abbia enfatizzato la consistenza dei doni ricevuti dal Mayali. Più chiaro appare quanto riportato dal Frangipani che a proposito del viaggio di pace del monaco benedettino scrive: «Durante tutto quel tempo seppe così bene cattivarsi la stima di Ottomano che, al congedarsi da lui, si ebbe, oltre ai preziosi regali soliti a farsi in simili casi, qual segno di particolare attenzione, il proprio manto di velluto cremisi. In seguito se ne fecero due piviali che tuttora si conservano nella nostra chiesa in ottime condizioni» (G. Frangipani, Storia..., 1905, p. 82). Caratteristica del velluto con cui sono stati confezionati i due piviali e 1’originalità del modulo disegnativo, carico di elementi che denotano 1’area di provenienza. Il complicato intreccio dei tralci crea delle forme triangolari, che, attraverso la bidimensionalità propria del velluto, richiamano alla memoria più articolate cupole semisferiche e cuspidate tipicamente arabe. Le manifatture italiane, soprattutto toscane e venete, che operavano nello stesso periodo di fattura dei piviali in esame, producevano velluti la cui «impostazione del disegno appare definita da pochi tipi di base sui quali viene operata una quantità indefinita di varianti, che interessano solo particolari accessori del disegno stesso» (D. Devoti, L’arte del..., 1974, p. 21). In Italia si impongono due tipologie basilari dette una a «griccia», a sviluppo verticale e che consiste nella successione di pigne e bastoni che vanno torcendosi, l’altra a «cammino», a sviluppo orizzontale data dall’alternanza di grandi pigne rotte con diverse tipologie di fogliame (cfr. ibidem, e figg. 71-72, 80-81). Inoltre un elemento costante che compare su molti velluti italici e la melagrana, come si può notare nei laterali in velluto tagliato ad un corpo datato al XV secolo della pianeta della Cattedrale di Santa Maria Assunta di Siena (cfr. M. Lorenzini, scheda n. 6, in Drappi, Velluti..., 1994, p. 105).

Anche il disegno del ricamo dello stolone sembra prendere in prestito non solo 1’aspetto tridimensionale tipico del velluto, ma anche forme e contenuti. Il tema del vaso da cui fuoriescono girali fioriti ad andamento ondulato sono una costante per le manifatture italiane attive tra il Quattro e il Cinquecento, ed un esempio più che calzante e che concorda puntualmente con il particolare dell’opera in oggetto e il modulo della pianeta della metà del XVI secolo di velluto cesellato ad un corpo di manifattura genovese del Tesoro della Cattedrale di San Lorenzo del capoluogo ligure (cfr. D. Devoti, L’arte del..., 1974, fig. 108; E. Bazzanti, Velluti di seta, in Tessuti antichi..., 1981, p. 112, fig. 18).

L’elemento iconografico, poi, che caratterizza il cappuccio e un’immagine particolarmente propagandata dalla simbologia cristiana. Alludere al sacrificio di Cristo attraverso la rappresentazione del pellicano e una formula che si ritrova realizzata con la tecnica del ricamo gia nel XV secolo come dimostra il paliotto d’altare in seta e oro di manifattura italiana custodito al Museo Poldi Pezzoli di Milano (cfr. A. Santangelo, Tessuti d’arte..., 1959, tav. 55; M. Bussaglia, La seta..., 1986, p. 129). Nei due piviali dell’Abbazia di San Martino pur essendo identici i soggetti iconografici e gli ornati ricamati si nota una sostanziale differenza dello sviluppo disegnativo: più limpido ed elegante in uno, con ampie campiture di pieni e vuoti che permettono una maggiore lettura dell’ornato modellato con sapiente equilibrio, nell’altro risulta più massiccio, appesantendo la presenza dei decori. Si ipotizza, infine, che la confezione dei due piviali non sia stata contestuale all’acquisizione del tessuto, donato al Majali durante una delle sue missioni nord-africane, ma successiva, e da inquadrare cronologicamente alla meta del XVI secolo, datazione suggerita dalla decorazione ricamata sullo stolone e sul cappucccio.

Maurizio Vitella

Bibliografia: S.M. Di Blasi, Ms. del XVIII sec., ASSM, VII 8 17; A. Mongitore, Ms. del XVIII sec., B.C.P., Qq E 5; R. Pirro, 1733; G. Palermo - G. Di Marzo Ferro, 1858; G. Frangi- pani, 1905; A. Lipari, 1989.

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